Hatha/Raja Yoga
Lo Hatha-yoga sequendo le indicazione dei testi sacri più antichi, agisce in profondità sul corpo e sulla psiche, armonizzando ciò che è disarmonico, riportando equilibrio.
“Yoga dello sforzo”.
Metodo di reintegrazione che, attribuendo grande valore al corpo, mira a ottenere una realizzazione spirituale mediante discipline psico-fisiche.
La comparsa dell’Hatha Yoga è legata al nome di Gorakhnāth, fondatore dell’ordine dei Gorakhnāthin, figura avvolta nella leggenda e deformata da numerosi miti documentati in tutta l’India occidentale e settentrionale. Vissuto forse tra l’ XI e il XII secolo, Gorakhnāth realizzò una sintesi tra alcune tradizioni śaiva (Pāśupata), il tantrismo e la dottrina dei Siddha (perfetti).
Per alcuni aspetti i Gorakhnathin rientrano tra le sette śaiva: considerano Śiva come Sommo Dio e mirano all’unione con la divinità mediante lo Yoga.
Gorakhnāth è considerato autore di un trattato, andato perduto, intitolato “Hatha Yoga” e di un commento, conservato, intitolato ” Goraksa-sataka” (Centuria di Goraka). Un commento al “Goraksa-śataka”, la “Goraksa-paddhati” (Il cammino di Goraksa) spiega il nome hatha (lett. “sforzo violento”) come composto da ha “sole” e tha “luna” , con riferimento simbolico del passaggio dell’aria dalla narice destra, assimilata al sole, e nella narice sinistra, assimilata alla luna.
L’Hatha Yoga intende essere l’unione dei due respiri e si pone come obbiettivo il samādhi, cioè l’annullamento della dualità, che si realizza quando Kundalinī, l’energia latente del corpo umano, viene resa attiva.
Nel corpo, infatti, concepito (nella visione propria del tantrismo) come un microcosmo, vi sono innumerevoli nādī (canali) , in cui circola l’energia sottile sotto forma di soffi (vāyu), e sei cakra (centri di potenza) nei quali risiede l’energia cosmica e divina.
Le nādī fondamentali sono due: idā, in cui scorre il prāna (soffio ascendente); pingalā, in cui scorre l’apāna (soffio discendente); e susumnā, attraverso la quale Kundalinī, risvegliata, sale dal mūlādhāra chakra (il “centro del supporto di base”, posto all’altezza del perineo, dove essa giace avvolta in forma di serpente ), attraverso gli altri cakra, fino al sahasrāra chakra (il “loto dai mille petali”, posto sulla sommità del capo) simbolo dell’Assoluto indifferenziato, al di là dello spazio e del tempo, sede di Śiva.
Quando Kundalinī ha raggiunto l’ultimo chakra, lo yogin sperimenta in sè l’unione di Śiva e della Śakti, il riassorbimento del mondo, lo stato della non dualità.
Il risveglio della Kundalinī è provocato da tecniche che consistono nell’arresto del respiro (Kumbhaka), in particolari posture (āsana) e, talvolta, in pratiche sessuali simili a quelle attribuite alle scuole gnostiche.
Anche lo Hatha Yoga, come lo Yoga di Patañjali, comprende una serie di “membra” (anga), la cui sequenza presenta alcune divergenze nei diversi testi.
Yama e Niyama (astinenze e osservanze), pur costituendo un utile preliminare alla pratica, non hanno la stessa importanza che rivestono nel Rāja Yoga: inoltre la Hatha-yoga-pradipīkā afferma che il più importante tra gli Yama è la dieta moderata, mentre tra gli Yama di Patañjali la dieta non compare affatto.
Gli āsana (posizioni del corpo) consistono, insieme al prānayāmā (controllo del soffio vitale), la parte centrale e più importante dell’ Hatha Yoga.
Da notare che mentre in Patañjalii l’asana è definito “stabile e piacevole”, è visto cioè come supporto alla meditazione e al prānāyamā , l’ Hatha Yoga elabora tutta una serie di posture che implicano uno stato di tensione e sono finalizzate alla mobilitazione dell’energia soprattutto a livello dei cakra.
Alla purificazione del corpo sono rivolti i satkarman (i sei “atti”) la cui pratica facilita la circolazione delprāna nei canali sottili, mentre i bandha (legamenti) sono contrazioni di determinate parti del corpo che accompagnano la ritenzione del respiro nel prānāyamā.
Una particolare importanza rivestono poi nell’ Hatha Yoga le mudrā (gesti, lett. “sigilli”, in quanto il loro scopo è quello di sigillare il prana all’interno del corpo).
Gli stadi più elevati dell’ Hatha Yoga corrispondono a quelli del Rāja Yoga: pratyāhāra è la ritrazione dei sensi dagli oggetti esterni, cui segue il dhyāna (meditazione) e infine il samādhi, l’annullamento di ogni dualità, il momento più alto di ogni esperienza yogica.
Per quanto riguarda il dhāranā, (concentrazione su un punto), che nel sistema di Patañjali è il sesto membro dello Yoga, essa è ignorata dalla Hatha-yoga-pradīpikā, mentre la Gheranda-samhitā la descrive come una pratica meditativa a sé stante, annoverata tra le mudrā, e articolata in cinque momenti connessi con i cinque elementi cosmici.
Insegnante: Lucia Rolando si è diplomata presso l’ISYCO con un corso quadriennale; ha fondato l’associazione Jyoti Isha di Torino la cui attività principale è l’insegnamento e la diffusione dello yoga in tutte le sue forme. Ha insegnato presso scuole elementari e materne la disciplina yoga, tenuto classi e lezioni private per donne in gravidanza, con esperienza in Italia e all’estero. Appassionata della cultura e della filosofia indiana con un attenzione particolare per la gestione degli stati mentali ed energetici.